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"In Africa, quando un vecchio muore è una biblioteca che brucia"

Amadou Hampatè Ba (citato da Leopold Sedar Senghor)

 

"...Non ci sono più le stagioni di una volta signora mia..."

Alberto Arbasino

OPOS ha affrontato il concetto/soggetto del "vecchio". Siamo dubbiosi ma spesso orientati all'idea che il passato sia meglio del presente, che quello che abbiamo avuto sia meglio di quello che abbiamo. Il ricordo, ciò che è stato e che non sarà più. Quella cosa "oldie but goldie". I nostri, personali "bei tempi andati". Unici, irripetibili. Paradossalmente la categoria del "vecchio" assume valore quando ci rimanda e qualche esperienza che abbiamo vissuto da giovani. A qualcosa che è nel passato ma che fa parte indissolubile della memoria. Riteniamo spesso che le cose passate siano meglio di quelle presenti. E che vecchio sia un sinonimo di "antico" e che quindi denoti la capacità di accumulare esperienze. Per questo motivo pensiamo a volte che "vecchio" faccia rima con "saggio". Anche se spesso un vecchio uomo è semplicemente un uomo vecchio. E di questi di uomini vecchi ne abbiamo in abbondanza (almeno nel primo mondo). La nostra è una società di vecchi che però sono rimossi dal piano comunicativo. Non vengono ritenuti adatti per presentare il mondo patinato dei prodotti e del consumo. Viviamo infatti in una società in cui esiste un "imperativo della gioventu"". La tradizionale classe dei vecchi malati e decadenti si avvia a divenire una ginnasticata, ormonata, levigata maggioranza silenziosa. E’ necessario indagare questo fenomeno e per fare ciò, probabilmente, è utile forzare gli stereotipi e definire le nuove caratteristiche del "vecchio" e scoprirne le dimensioni che si sono trasformate nel tempo. Dalla genetica alla gerontologia. Alla nuova dimensione culturale e sociale di una società "vecchia" che vuole sembrare giovane. A come tutto ciò porti un cambiamento nel nostro ambiente, nelle cose, nei servizi, nella comunicazione. Se poi il discorso sul vecchio esiste è perché esiste un discorso sulla memoria. Se colleghiamo questi due termini nell'esperienza quotidiana contemporanea subito noteremo che, nell'era della digitalizzazione della memoria, tutto ciò che prima ritornava con un alone mitico, trasformato dal filtro dei nostri ricordi, ora ritorna velocemente e impietosamente, con un semplice click. Tutto è disponibile nella versione più esplicita, disponibile. Come una sovrapposizione di strati non fusi che ogni tanto qualcuno riattiva con un brutale gesto di riscoperta, un "decollage" che strappa e non ricuce. Che riporta alla luce la sola forma senza pensiero. Un'aggiunta di frustrazione proviene poi dal rendersi conto che spesso è la necessità del mercato più che l'effettiva qualità dell'esperienza da riscoprire a decidere i tempi e i modi di questo ritorno. Paradossalmente la grande disponibilità di "vecchio" finisce per distruggere anche l'integrità del nuovo. L'"eterno ritorno" finisce per essere un "eterno presente" in forma di "compilation", o "meticciato" o " vintage" o "riscoperta". Un gigantesco flusso digestibile in cui i "segni" di un progetto originale sono sempre più difficili da scorgere. OPOS ha chiesto ai designer una riflessione su questo tema. Una riflessione che ha provato a tradurre in progetti ed oggetti concreti questa nuova e controintuitiva condizione della società e dell'esperienza umana contemporanea.